Il Covid-19 ci ha reso più green?

Il difficile periodo vissuto a causa della pandemia di Covid-19 ci ha dimostrato, per l’ennesima volta, quanto la nostra vita sia fragile e di come la Natura possa trasformarsi senza la presenza umana. Le immagini di città improvvisamente fiorite, di alberi rigogliosi e di un cielo chiaro e limpido, hanno confermato quanto la nostra presenza faccia male all’ambiente e di quanto fossero fondati gli allarmismi lanciati dagli ecologisti negli ultimi anni. Se i vari movimenti ecologisti, a partire da quello fondato dalla giovane Greta Thunberg, hanno riportato a galla i rischi di una gestione scellerata delle risorse terrestri, i giorni del lockdown sono serviti ad aprirci definitivamente gli occhi e a farci capire quanto i nostri comportamenti quotidiani pesino sulla salute del pianeta.

L’importanza di essere green

Secondo una ricerca dell’Osservatorio The World After Lockdown di Nomisma, nel 2019 16 milioni di italiani, ovvero il 32% della popolazione totale, ha dedicato parte del proprio tempo a prendersi cura dell’ambiente che lo circonda, dato che quest’anno è arrivato a 19 milioni. Sono sempre più, quindi, le persone che guardano con attenzione e con la giusta preoccupazione al mondo e alla sua salute, decidendo di mettere in atto pratiche green. Una di queste è la cura dell’orto che, per l’8% degli italiani, è un passatempo molto amato, che permette la produzione di cibo a chilometro zero, sia per se stessi che per amici e parenti. Nell’87% dei casi, infatti, ciò che viene coltivato nel proprio orto arriva poi in tavola e il resto viene donato. In prospettiva, sempre secondo la ricerca Nomisma, nei prossimi anni il numero di persone che si dedicheranno a pratiche green, soprattutto nel settore agroalimentare, crescerà ancora. Questo anche a causa della pandemia e del lockdown, che hanno chiarito ancora di più la necessità di creare filiere più corte e il bisogno di aggregazione per mettere in piedi sistemi produttivi più ecologici.

Un nuovo modo di fare turismo

Uno dei settori più colpiti dalla pandemia è stato il turismo, soprattutto in Italia, dove è uno dei maggiori traini dell’economia. Secondo il World Travel and Tourism Council, la pandemia di coronavirus ha causato un vero cortocircuito nel turismo che, in Italia, genera circa il 13% del prodotto interno lordo e il 15% dell’occupazione. Il Covid-19 ha letteralmente paralizzato il settore, che ha registrato perdite per oltre 6 miliardi di euro e contato circa 30 milioni di turisti in meno. Finita l’emergenza, il turismo sta cercando di rimettersi in piedi, con la consapevolezza che qualcosa è cambiato, che la pandemia è stata una sorta di spartiacque nell’idea stessa di turismo e ospitalità. Una volta riaperte le porte di casa, infatti, molte persone hanno scelto di viaggiare in maniera diversa, con un occhio più attento all’ambiente e ai luoghi in cui trascorrere le proprie vacanze. In questo senso, molti turisti hanno cominciato a privilegiare luoghi in cui si vive ancora come una volta e dove il territorio è ancora tutelato dalla presenza umana. Il cosiddetto undertourism, ovvero la scelta di luoghi poco conosciuti e poco frequentati dai viaggiatori, si sta facendo sempre più largo, insieme all’altro fenomeno turistico-ambientalista, ovvero lo slowtourism scelto da chi vuole vivere una vacanza con lentezza, muovendosi magari a piedi o in bicicletta e stando a contatto diretto con la natura.

E le strutture ricettive?

Diverse ricerche svolte negli ultimi anni, hanno dimostrato come gli italiani siano sempre più attenti all’ambiente, a cominciare dalle pratiche quotidiane tenute dentro casa. In particolare, la generazione dei Millennials ha molto a cuore il tema dell’ambiente, perché i ragazzi si sono resi conto, più e prima dei loro stessi genitori, di quanto sia importante vivere in un mondo sano e pulito. Dal recente studio The Deloitte Global Millennial Survey 2020, pubblicato a luglio, è emerso come le persone comprese tra gli 11 e i 39 anni abbiano una visione consapevole dei cambiamenti climatici e delle criticità di cui soffre il nostro Pianeta. Tuttavia, la loro visione è cambiata a cavallo della pandemia: se prima, infatti, la maggioranza pensava che fosse ormai troppo tardi per porre rimedio ai danni ambientali, all’indomani del lockdown, la percezione è migliorata, come anche la speranza per il futuro. È chiaro, quindi, che la pandemia ha fatto crescere e reso più forte il senso di responsabilità individuale, tanto che i tre quarti degli intervistati ha confermato come il periodo di lockdown li abbia resi più attenti alle tematiche ambientali e che si impegneranno a preferire i piccoli commercianti locali rispetto alle multinazionali. Inoltre, la loro percezione è cambiata anche in tema di vacanze, perché oggi un giovane turista su tre dichiara di voler organizzare vacanze eco-sostenibili e di scegliere luoghi e strutture anche in base alla loro natura ecologico-ambientalista. Tuttavia, nonostante la nuova spinta green provocata dalla pandemia, non tutti coloro che lavorano nell’ambito del turismo si sono adeguati alle nuove richieste ed esigenze da parte dei viaggiatori. All’indomani di uno dei momenti più difficili dal dopoguerra a oggi, sembra, però, giunto il momento di un cambiamento radicale nell’ospitalità, così da allinearsi alle nuove tendenze e alle nuove esigenze dei turisti. Sul territorio italiano sono già presenti strutture che guardano al futuro e si rivolgono a una nuova fetta di consumatori, ma il percorso è ancora lungo, perché non basta qualche campagna marketing per definirsi green. È necessario acquisire una consapevolezza profonda che trasformi l’idea stessa di ricezione, andando ad agire sulle radici del brand e stravolgendo i canoni seguiti fino a oggi.


_____________________________________________________________________________________________


-> Iscriviti subito alla nostra newsletter <-

 

Scopri in esclusiva le news più rilevanti, gli eventi più importanti e i preziosi consigli di Outsourcing!